[Aquila chrysaetos, foto: Donato Mellucci]
Una storia millenaria
Nel corso degli anni ho avuto modo di osservare più volte in natura alcune delle specie animali e vegetali più rare del Matese, tuttavia nonostante non abbia mai avuto una particolare predilezione per gli uccelli, l’incontro con l’aquila reale, per me tutt’ altro che raro, è sempre stato per qualche ragione che ignoro, quello che ha suscitato in me le emozioni più forti, lasciando impressi nella mia mente alcuni dei ricordi che mi sono più cari.
Quella che lega l’aquila reale al Matese è una storia millenaria che ha avuto origine molto prima che i nostri antenati cominciassero a modificare l’aspetto di queste montagne. Una storia della quale purtroppo sappiamo molto poco. Un tempo la “regina dell’aria” doveva essere senza dubbio più diffusa di oggi, tuttavia in letteratura non ci sono rimaste tracce lontane nel tempo della sua presenza sul Matese. Oronzo Gabriele Costa nella sua monumentale opera “Fauna del Regno di Napoli” del 1857 ci fa una dettagliata descrizione di un altro rapace, un Capovaccaio (Neophron percnopterus, un avvoltoio oggi estinto come nidificante sul Matese) catturato e tenuto in cattività a Piedimonte Matese ma si limita a citare in modo generico l’aquila reale come presente nel Regno di Napoli.
Sappiamo che tra la seconda metà del ‘600 e la fine del ‘700 vi fu un notevole incremento demografico tra le genti del Matese. L’aumento della popolazione portò ad una maggiore richiesta e consumo di risorse (legname, selvaggina, materiali da costruzione) e spazi per le attività agricole e pastorali, spazi che furono sottratti agli ambienti naturali. Così gli animali selvatici videro una drastica riduzione dei loro habitat. Alcuni come il cervo e l’orso iniziarono un periodo di declino (accelerato dall’ introduzione delle armi da fuoco) che li portò in tempi relativamente brevi alla completa estinzione sul Matese, altri come il lupo e la nostra aquila reale sopravvissero con popolazioni di pochissimi esemplari.
Le armi da fuoco devono aver influito in maniera significativa sul numero di individui di aquile. Un tempo la vita delle genti di montagna era estremamente difficile, galline, agnelli ed altri piccoli animali rappresentavano un mezzo di sussistenza irrinunciabile ed è sensato supporre che di tanto in tanto, con la riduzione delle prede selvatiche, qualche aquila abbia rivolto la propria attenzione verso gli animali domestici con conseguenze facilmente immaginabili. Il mio primo contatto diretto con la regina del Matese avvenne proprio in seguito ad un episodio di questo tipo: nella prima metà degli anni ‘70 ricevetti in dono da mio padre alcune penne. A distanza di quasi cinquant’ anni conservo ancora una di quelle “reliquie” che provenivano da un esemplare abbattuto sul monte Raspato da un pastore che, a suo dire, aveva sorpreso il rapace mentre tentava di predare un agnello. Abbiamo inoltre notizia di un altro esemplare abbattuto nell’ autunno del 1988. Episodi probabilmente sporadici ma di grande impatto sulla già esigua popolazione di aquile del Matese. Molto scarse anche le notizie relative al versante molisano: pare che negli anni cinquanta nidificassero ancora due coppie, ridotte ad una negli anni settanta ma si tratta di testimonianze non comprovate da dati certi. Il mondo scientifico ha cominciato ad interessarsi alle aquile del Matese solo negli anni ottanta: a partire da quel decennio e in quelli successivi sono state prodotte varie pubblicazioni, resoconti di studi mirati e di progetti di tutela dell’unica coppia nidificante di aquila reale rimasta sul Matese.
Con una legge regionale del 1993 sul versante campano del massiccio montuoso è stato instituito il Parco Regionale del Matese, divenuto operativo solo nel 2002. In quasi 20 anni di attività dell’area protetta in molti si aspettavano un incremento nel numero delle coppie nidificanti di aquila reale ma ciò non è avvenuto. La causa è da ricercare soprattutto nella scarsa disponibilità delle prede abituali di questo rapace: le popolazioni di lepre italica (Lepus corsicanus, specie endemica dell’Italia centro-meridionale), che un tempo prosperavano sul Matese sono oggi notevolmente ridotte soprattutto a causa della forte pressione venatoria nei decenni antecedenti l’istituzione del parco e degli episodi di bracconaggio che ancora oggi non sono del tutto scomparsi. I ripetuti ripopolamenti per fini venatori dei decenni scorsi non hanno portato grossi benefici, al contrario hanno complicato ulteriormente la situazione poiché effettuati con una specie non originaria del Matese: la lepre europea (Lepus europaeus). Ripopolamenti di questo genere sono stati effettuati anche di recente (gennaio 2020) a ridosso dei confini del parco, nonostante le norme di salvaguardia non consentano l’immissione di specie alloctone. Anche la coturnice appenninica (Alectoris graeca orlandoi), altra potenziale preda dell’aquila, che a detta dei cacciatori più anziani era un tempo abbondantissima nelle praterie d’alta quota del Matese, è oggi quasi del tutto scomparsa. In uno scenario di questo tipo le nostre “regine” sono costrette a ripiegare su prede di dimensioni minori, ciò le costringe a cacciare più spesso con un dispendio energetico maggiore, inoltre con una dieta costituita in buona parte da ghiri e altri piccoli roditori, i nidiacei si sviluppano più lentamente e abbandonano più tardi il nido.
L’aquila reale suscita da sempre un fascino particolare nell’immaginario collettivo, la possibilità di osservare questi nobili animali in natura può da sola rappresentare uno dei fiori all’occhiello del nascente Parco Nazionale del Matese ed una risorsa di prim’ordine nell’ottica di un turismo ecosostenibile. Interventi finalizzati al ripristino di un adeguato numero di prede non richiedono grossi investimenti ma rappresentano la strada maestra per garantire la sopravvivenza di questi preziosi rapaci e fare in modo che anche le generazioni future possano continuare a godere di questi veri spettacoli della natura.
Carta d’identità
L’aquila reale (Aquila chrysaetos Linnaeus, 1758) è un rapace di grandi dimensioni appartenente alla famiglia Accipitridae. Compresa la coda può sfiorare il metro di lunghezza con un’apertura alare che può raggiungere i 230 cm. Le femmine hanno mediamente dimensioni maggiori rispetto ai maschi. L’epiteto specifico fa riferimento alla colorazione del piumaggio del capo e del collo che negli adulti hanno riflessi dorati (dal greco chrysos= oro). Il resto del corpo negli adulti è di colore bruno più o meno scuro mentre gli esemplari giovani presentano aree di colore bianco sulla coda e sulle ali che si riducono gradualmente ad ogni muta fino al raggiungimento, intorno al 7° anno, della livrea tipica degli adulti. Specie politipica, è diffusa con sei sottospecie in un ampio areale che va dall’America settentrionale all’Eurasia e all’Africa settentrionale. In Italia è presente la subspecie nominale (Aquila chrysaetos chrysaetos) con un numero stimato di 486-547 coppie (fonte: IUCN), distribuite in gran parte sull’ arco alpino e, in numero nettamente minore, lungo la dorsale appenninica e sui rilievi delle isole maggiori.
In Campania sono note solo tre coppie nidificanti: una nel Parco Nazionale del Matese, una nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ed una nel Parco Regionale dei Monti Picentini. La vita media di questi uccelli in natura è di 15-20 anni. La regina dell’aria è un superpredatore, non ha quindi nemici naturali oltre l’uomo. Posta all’ apice della catena alimentare può predare un gran numero dei suoi “sudditi”, soprattutto mammiferi di medie dimensioni, svolgendo un ruolo cruciale nella regolazione degli equilibri dell’ecosistema. Per cacciare utilizza soprattutto la sua vista acuta e le sue abilità nel volo piombando dall’ alto sulle prede e afferrandole con i poderosi artigli. Occasionalmente non disdegna la saprofagia (il giovane esemplare della foto qui sotto fu osservato il 31 marzo 2019 mentre si nutriva sulla carcassa di un vitello).
Prettamente monogama, una volta formata la coppia questa dura per tutta la vita e tende a riutilizzare lo stesso nido per più anni. Nell’area in cui vive la coppia questa può costruire anche più nidi (sul Matese ne sono stati censiti almeno quattro) per poi scegliere quello più adatto che viene risistemato con l’approssimarsi del periodo riproduttivo che comincia verso la fine dell’inverno. Dopo l’accoppiamento la femmina depone in media due uova che cova per circa 40-45 giorni. Nella stragrande maggioranza dei casi solo uno dei pulli arriva all’ involo che avviene nel giro di 2-3 mesi, verso la seconda metà di luglio. Le giovani aquile restano con i genitori fino alla successiva stagione riproduttiva: in gennaio vengono allontanati e conducono vita nomade fino al raggiungimento della maturità sessuale che avviene al quarto o quinto anno di età, quando cioè formeranno una nuova coppia.
Aquila chrysaetos è tra le specie particolarmente protette dalla Direttiva Uccelli (All. I), è inoltre inserita nell’ Allegato II della Convenzione di Bonn ed è tra le specie protette dalla legge Nazionale n.157 dell’11 febbraio 1992.
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